I GIOVANNITI

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Storia del Primo Soccorso in Europa ed Italia , nascita dei Movimenti di Soccorso

I Giovanniti ed i Movimenti di Soccorso

Scopriamo insieme la storia del Primo Soccorso in Europa ed Italia e come nascono i primi Movimenti di Soccorso

Con la comparsa dell’uomo e della sua vulnerabilità alle malattie e traumi, nasce la necessità in se stesso, di poter soccorrere i propri simili, salvando la vita, alleviando le sofferenze, trasportando gli infortunati e/o malati, in luoghi più sicuri ed adatti alle loro cure ed assistenza.

Si forma così di fatto, quello che si definirebbe il “primo soccorso”, vale a dire tutto quel complesso di azioni opportune, rapide ed efficaci, in una situazione d’emergenza, a seguito di un disastro o semplicemente di incidente o complicazione patologica.

Il poter fronteggiare il soccorso di un individuo sul posto, al verificarsi di traumi o dell’insorgere di un malessere, è stato così, via, via perfezionato nel tempo, con esperienze e studi, riguardo le prime cure in attesa dell’arrivo di appositi veicoli (autoambulanze), con equipaggi addestrati ed attrezzati per la stabilizzazione ed il trasporto di tali vittime.

Mezzi di trasporto, ed ambienti, ove prestare i primi soccorsi e le cure necessarie, in luoghi stabili o “ambulanti” (in strutture mobili: attendate o prefabbricate), sono stati nei vari periodi della storia, particolare oggetto di preoccupazione, specialmente da parte delle Amministrazioni sanitarie militari in tempo di guerra, ma di pari passo, anche gradualmente nell’ambito dell’ordinario quotidiano nella Società civile.

Conosciamo da reminiscenze scolastiche, la civiltà egizia come tra le più antiche e già in tale remota epoca, esistevano dei templi (con annessi “ospedali” per l’assistenza agli infermi), dedicati a Iside e Serapide. Naturalmente più celebre per noi, risuona nel più recente periodo greco, il nome di Esculapio, i cui sacri edifici eretti in suo nome, erano presenti anche nella nostra Penisola: la “Magna Grecia”. Dai Greci ai Romani, ecco comparire, nel fronteggiare un’epidemia nell’Urbe, sull’Isola Tiberina, un tempio dedicato al medesimo Esculapio, nel III° secolo a.C., precedendo quello che nel 390 d.C., sarà il primo nosocomio a Roma, fondato dalla matrona Fabiola, secondo le cronache di San Girolamo.

Nell’impero Romano d’Oriente, toccherà a Basilio di Cesarea al volgere del IV secolo, fondare un vero e proprio ospedale bizantino ed ancora più a Levante, si trovano tracce di antichi edifici di natura assistenziale, in India.

Dopo il fragoroso crollo dell’Impero Romano, anche e soprattutto a seguito delle invasioni barbariche e del progressivo affermarsi del Cristianesimo, avviene di pari passo la diffusione del cosiddetto “hospitale”, vale a dire la versione più moderna della struttura ospedaliera in tutto il vecchio continente europeo.

L’esigenza, nasce innanzitutto con la finalità di dare assistenza ed appunto ospitalità, ai pellegrini in viaggio sulla “Via Francigena” diretti a Roma e proprio nella “Caput Mundi” di allora, sorge nell’VIII secolo dalla “Schola Saxonum” fondata da un sovrano sassone, non lontano dall’odierna Città del Vaticano e della Basilica di San Pietro,  l’Ospedale di Santo Spirito in Sassia. E la realtà di avere una “Schola” (antenata delle moderne “Università”), accanto a strutture “ospitaliere”, diventa vera e propria consuetudine come nel prestigioso esempio della “Scuola Medica Salernitana”, meglio affermata poi nel IX° secolo.

Siamo per la verità ancora lontani dall’odierna concezione di “Ospedale” così come lo conosciamo noi, infatti nel Medioevo, gli “Hospitale” (le strutture più piccole erano chiamate “Xenodochi”), erano normalmente riservati ai viaggiatori ordinari, i quali godevano di buona salute, così come quelli invece che si ammalavano o ferivano per strada e che necessitavano quindi di opportuna ospitalità ed assistenza, non solo fisica, ma anche spirituale. Famoso dalle nostre parti in Valle di Susa, è l’Ospedale “dei Pellegrini” con ancora più celebre annessa “Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso” o l’Abbazia con Ospitale di “Staffarda” in Provincia di Cuneo, entrambe proprietà dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, lo stesso titolare di diversi attuali omonimi ospedali a Torino, Lanzo, Luserna, Aosta, Valenza e San Remo.

E giungiamo ad un momento cruciale, dell’Età di Mezzo, in quel di “Terrasanta”, vale a dire le “Crociate”. Qui, nel nome appunto dell’ospitalità ed assistenza ai pellegrini diretti nella Città Santa di Gerusalemme, nascono e si sviluppano diverso Ordini Cavallereschi di origine religiosa, celebri ancora ai nostri giorni.

I “Cavalieri Ospitalieri” del XI° secolo, , che ben presto diverranno i “Giovanniti”, sono tra questi, come i non meno famosi “Templari” o i “Teutonici”, le cui gesta sono ben tramandate tra realtà e leggenda, cosi come le altrettanto notissime Sacre Milizie del “Santo Sepolcro di Gerusalemme”, quella di San Lazzaro e non ultimo i Cavalieri Costantiniani di San Giorgio, impegnati alla prima crociata del 1099 alla crociata Albigese per volere di papa Innocenzo III°.

La Chiesa quindi, che una certa tradizione storiografica, ci ha quasi sempre presentato come “nemica della medicina” o meglio della “Chirurgia”, in un certo qualsenso, ha invece indotto diversi soggetti, ad interessarsi ed a ricercare moderne forme di cure ed interventi, contribuendo non poco a quel progresso sanitario a favore dell’essere umano, che certo avrebbe conosciuto ben più efficaci ed ampi risultati, a partire poi dal 1800 ai giorni nostri.

Il periodo in cui vengono scritte queste righe, riguarda la pandemia da Covid-19, che richiama alla memoria scolastica, con non grande sforzo, l’epoca di funesti contagi devastanti, come quello della “Grande Peste Nera” a metà del Trecento, resa celebre dal “Decameron” di Giovanni Boccaccio. E proprio per l’insorgere di queste pestilenze, scaturì l’esigenza di allestire dei luoghi di ricovero in cui accogliere un gran numero di contagiati, per non dire di veri e propri “appestati”, per scongiurare maggiori dimensioni del fenomeno pandemico.

Nacquero così i “Lebbrosari”, fuori, lontani dalle città che nel Medioevo avevano con gran ritmo, preso a proliferare ed il primo “Lazzaretto” stabile nell’Occidente europeo, sarà quello di Venezia a inizio 1400 e per la durata di poco più cento anni, quando appunto nel XVI° sec. saranno felicemente ritenuti superati ed inutili, a lebbra definitivamente debellata (e la contestuale riconversione di tali spazi per l’ospitalità e l’assistenza a malati di sifilide). A Torino “Lazzaretti” erano nell’area lungo il Po (ove si erge il Palazzo delle “Generali” già Toro Assicurazioni ed ex-Direzione RIV SKF di Corso Cairoli) ed un altro non lontano dalla “Cascina Fossata”, sull’omonima via in Borgo Vittoria.

Nella seconda metà del 1400, sale sul trono di Spagna, più precisamente su quello di Castiglia e Leon, quale consorte del Re Ferdinando I° d’Aragona, la Regina Isabella, più conosciuta come Isabella di Castiglia, la sovrana legata all’epocale impresa di Cristoforo Colombo, che da essa ebbe in dotazione le tre “Caravelle, con le quali poté scoprire il nuovo mondo. Ma perché scomodare tale personaggio storico femminile, ai fini del nostro excursus sanitario?

Perché secondo una certa tradizione, tramandatasi da secoli, pare che il termine “ambulanza”, derivi dal latino “ambulare”, coniato nel XV secolo, dalla suddetta Regina, la quale, avendo istituito delle formazioni sanitarie mobili, che viaggiavano al seguito del suo esercito e che costituivano una sorta di ospedale da campo, diede loro il nome di “ambulancias”. Il termine è passato poi anche ad indicare successivamente in epoca più contemporanea, l’automezzo destinato al trasporto urgente di malati o feriti.

Cristoforo Colombo scopre così nuove terre e con il giungere del “Rinascimento”, nel Centro-Nord d’Italia, in specialmodo dalla Toscana (antica terra delle celebri “Misericordie”, attive ininterrottamente dal 1244 ai giorni nostri), alla Lombardia, si ha un processo di sviluppo e miglioramento dell’efficienza nelle prestazioni delle strutture “ospitaliere”.

Esempio ne è lo “Spedale degli Innocenti” a Firenze o quello dell’Ospedale Maggiore di Milano, voluto dal Duca Francesco Sforza, in cui prevale il criterio, ormai assodato, di consentire il ricovero a sole persone inferme, (non più a quelle sane desiderose esclusivamente di ospitalità senza cure), a loro volta distinte dalle nascenti Autorità Sanitarie di allora, in “curabili” ed “incurabili”.

Sempre per rimanere in casa nostra a Torino, che nel periodo rinascimentale conta circa 4000 abitanti, già nel 1200, era sorto una sorta di piccolo ospedale, ad opera di un canonico della Cattedrale, presso un paio di ambienti all’interno della torre campanaria del Duomo torinese appunto, detto dei “Poveri di Cristo”, divenuto nel 1228 “Hospitale del Domo” a pochi passi dalla Porta Palatina, entrando da Nord, provenendo da Milano, Novara e Vercelli. Nel 1460, la struttura destinata ad ingrandirsi sempre più, anche a seguito di pesti, carestie e guerre, prende il nome di “Ospedale di San Giovanni Battista” e nel 1540, al Capitolo dei Canonici del Duomo, si associa anche il Comune di Torino, che porta in dote diversi beni, risorse e terreni, così che il 12 gennaio 1578, con la mediazione del Cardinale Arcivescovo della nostra “Cattedra di San Massimo”, tra Canonici e Comune, la struttura sanitaria sempre più fiorente, prende il nome quasi definitivo che ancor oggi conosciamo: Ospedale di San Giovanni Battista e della Città di Torino.

Manca infatti quel “Maggiore”, il quale sarà aggiunto in epoca napoleonica, dallo stesso Bonaparte, che avrà maniera di ammirare l’edificio costruito nel 1680 da Amedeo di Castellamonte in Via Giolitti. Nel 1981 la Regione Piemonte decreterà di sostituire la storica denominazione con una semplice sigla “U.S.L. 1/23”, che però non avrà fortuna perché i torinesi, continueranno a chiamare alla “vecchia” maniera i vari ospedali, ivi compreso il “San Giovanni Vecchio”, così come le “Molinette” del 1935, la Vecchia e la Nuova Astanteria Martini, che si aggiungeranno al già citato Ospedale Mauriziano “Umberto I°”, l’ “Amedeo di Savoia”, il “Maria Vittoria”, il “Maria Adelaide”, il “Regina Margherita”, il “Sant’Anna” ed il “San Lazzaro”, nonché l’Oftalmico.

Tornando al periodo rinascimentale, che aveva ereditato l’importante e preziosa sapienza e tradizioni medievali dei grandi ordini ospitalieri, grande ruolo svolgono le già citate “Misericordie” in terra di toscana dal 1244 ad oggi, che possono a buon diritto, essere considerate le antesignane delle odierne associazioni volontarie di pubblica assistenza, nonché del moderno servizio di protezione civile. In particolare, l’Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, per la cura ed il soccorso agli ammalati, costituì la prima istituzione di soccorso organizzato di ispirazione cristiana. Essendo riconosciuta come opera caritatevole, era il personale religioso ad occuparsi dei malati che si trovavano nei lazzaretti e negli ospedali dell’epoca.

Per i servizi di soccorso la Misericordia utilizzò un personale laico e volontario. L’espletamento del servizio prevedeva l’anonimato del soccorritore, il quale indossava un cappuccio o buffa. Il primo attrezzo adibito al trasporto degli malati fu la “zana”, una specie di cesta nella quale si poneva l’infortunato e veniva poi trasportata a spalla. Negli anni successivi fu utilizzato il cataletto a mano (fino al 1700, è stato il più diffuso mezzo di trasporto degli ammalati in tutto il mondo), che poteva essere usato fino a 3 miglia dalla città di Firenze, ma ben presto, si diffusero altri presidi di Misericordie, le quali svolgevano il servizio di soccorso in altre città della Toscana.

Una mole di interventi, venne richiesta da nuove necessità, legate al dilagare di un nuovo male contagioso: la “Sifilide”, portata forse in Italia, dalle truppe di Carlo VIII°, per questo motivo chiamato il “mal francese” o “morbo gallico”. Su impulso di questa emergenza e cogliendo il nuovo slancio caritatevole, sbocciato dal un rinnovato spirito promosso dalla Controriforma, nasce nel 1500 il primo ospedale dedicato a questo tipo di morbo, ad opera di Ettore Vernazza, seguito poi nel 1515 dall’Arcispedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma, così caro nella memoria della gloriosa storia sanitaria, perché pochi anni dopo il celebre Camillo de Lellis, poi Santo, vi fondò l’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi ed a Napoli, quello ancora oggi famoso come grande complesso degli “Incurabili”.

Sempre a riguardo dell’Arcispedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma un’altra grande personalità, un grande medico, è legato a questa insigne struttura: Girolamo Fracastoro. Egli, pioniere della moderna medicina patologica, ispirò la “cura dell’acqua di legno”, con la quale in quegli anni si cercava di curare le piaghe appunto della sifilide. Terapia poi abbandonata a metà Seicento, proprio a seguito delle osservazioni più approfondite nell’ambito dei ricoveri in tale ospedale. L’ospedale oramai è così diventato un luogo di cure riservato a malati gravi e cronici, gli “incurabili”, che richiedevano lunghe degenze e particolari terapie.

Di pari passo, con alterne vicende, che spesso vedevano il divieto da parte della Chiesa, di studi, dissezioni di cadaveri, esperimenti su di essi, da parte di scienziati alla scoperta del funzionamento del corpo umano e delle sue malattie, vede la luce un nuovo luogo tipicamente ospedaliero, anzi universitario, in cui convergevano studenti di medicina di varia provenienza, desiderosi di comprendere e conoscere la meravigliosa e sconosciuta “macchina umana”: il “Teatro Anamtomico”.

Un grande protagonista di questa gloriosa epopea, è Bartolomeo Eustachi, pioniere dell’anatomia, attivo all’Ospedale di Santa Maria della Consolazione a Roma. A lui si devono le “Tabulae anatomicae” a metà del 1500, ma pubblicate solo duecento anni più tardi.

Prima di passare al secolo successivo, non si può non trattare l’importantissimo e fondamentale ruolo, che ebbe nel corso del 1500 Ambroise Parè (1510-1590), chirurgo di Enrico II e della regina Caterina de’ Medici, regnanti di Francia, cui a buon diritto si può attribuire la concezione del concetto di “primo soccorso”, nel senso più moderno del termine. A lui è stato inoltre attribuito, il merito dei primi tentativi di organizzare il soccorso dei feriti durante le battaglie e di aver proposto la legatura dei vasi ematici in caso di amputazione. A quei tempi i militari, avevano metodi assai singolari per trattare le ferite.

Ad esempio, per curare le ferite causate da armi da fuoco, facevano bere una miscela di acqua e polvere da sparo! Ambroise Paré, rendendosi conto che tali metodi non solo erano inutili, ma addirittura dannosi, ebbe il merito di sperimentare nuove tecniche terapeutiche, tra le quali una prima forma di anestesia ed inoltre com’é stato appena accennato, la legatura dei vasi arteriosi degli arti amputati.

Il 1600, fu in un certo senso, investito da una “rivoluzione scientifica” che non fu estranea neanche per la “chirurgia”. Grande ritrovato di questo periodo, fu indubbiamente il “Microscopio”, inventato in Olanda e perfezionato da Galileo Galilei, che aiutò non poco uno scienziato, come Marcello Malpighi, a scoprire l’esistenza dei capillari sanguigni ed i globuli rossi oppure Giovanni Maria Lancisi, il quale mise in relazione la presenza di zanzare con la malaria, ma non solo (a lui si deve lo studio dell’origine degli aneurismi e degli attacchi di cuore).

Con la travolgente, bufera bellica e l’occupazione napoleonica di inizio ‘800, vi è la nota soppressione degli ordini religiosi, sostituendoli con le laiche “Congregazioni di carità”, che continueranno la loro opera anche dopo la “Restaurazione”.

Dopo la caduta di Napoleone e il ripristino delle principali monarchie europee, alla laiche opere pie, vengono ricostituiti gli ordini religiosi e con essi, gli ospedali da essi gestiti, che non conoscono tregua, specialmente negli anni 1835-36, con l’imperversare di una letale e contagiosa epidemia di colera. Tanti furono i morti, che gli ospedali, anche a seguito delle opportune, avanzate disposizioni napoleoniche in materia, smisero la loro funzione di luoghi di sepoltura al loro interno (istituendo ed utilizzando cimiteri extraurbani).

Inoltre si affermava sempre più, l’importanza di sottoporre la popolazione o parte, alla vaccinazione e pioniere di questa pratica, fu Luigi Sacco, Primario dell’Ospedale Maggiore di Milano e dall’Archiatra Pontificio a Roma, Giuseppe De Mattheis.

E sempre in epoca napoleonica, il termine ambulanza, fu ripreso e utilizzato, per indicare un mezzo finalizzato al soccorso e al trasporto dei feriti, così che la paternità del moderno concetto di ambulanza, venne attribuita al Barone Dominique Jean Larrey (1766-1842), direttore della chirurgia dell’esercito di Na-poleone Bonaparte. Jean Larrey, dopo aver fatto una grande esperienza sul campo di battaglia, nel 1792, progettò l’ “ambulanza volante”, convinto che un rapido trasporto del ferito in un ospedale o in altro luogo medicalmente attrezzato, avrebbe favorito la guarigione del paziente, potendolo curare rapidamente, facendolo tornare prima possibile al fronte. L’ambulanza volante, fu chiamata così, in quanto veniva schierata come l’artiglieria volante. In pratica era il primo mezzo di trasporto dei feriti, costruito con un sistema di ammortizzatori ed inoltre capace di garantire all’interno del veicolo, buone condizioni igieniche mediante il ricambio dell’aria. In altri termini si trattava di mezzi per trasporto esclusivo dei feriti e questo perché aveva capito che, attendere la fine della battaglia, avrebbe significato la perdita di molti soldati. I metodi di soccorso e le modalità di trasporto proposti da Larrey, sono ancora validi. Il sistema di soccorso francese, fu aggiornato da un collega di Larry, il dottor Pierre-François Percy, il quale, per accelerare la cura dei feriti, creò l’ambulanza mobile, cioè un carro detto “wurstl”, trainato da 4 cavalli e che trasportava 8 chirurghi e 8 aiutanti e il materiale sanitario. Degna di nota è la novità, che prevedeva che i feriti, da ambo le parti belligeranti, dovessero ricevere “tutti assistenza allo stesso modo”. Vennero inoltre formati corpi di barellieri ed infermieri assegnati alle “ambulanze volanti“. Nel 1797, questo sistema fu presentato a Napoleone ed al suo Stato Maggiore a Udine, cioè alla fine della Campagna d’Italia.

Con l’avvento del XIX° secolo, in Italia, nel 1831, regnando Re Carlo Alberto, questo sovrano riforma la normativa ed il funzionamento dei Corpi di Sanità Militare delle Armate del Regno di Sardegna, il termine “ambulanza”, viene così ad indicare sia le formazioni militari, che i carri per il trasporto dei feriti. I carri ambulanza, sempre più grandi e pesanti spesso erano ingombranti e poco maneggevoli sulle strade dissestate e strette; ad esempio l’ambulanza britannica di un certo Dottor Smith, utilizzata in Inghilterra per la popolazione civile, era inadeguata in campo di battaglia.

Durante la guerra di Crimea a metà anni ’50 dell’800, molte nazioni belligeranti svilupparono autonomamente alcuni sistemi di soccorso. Mentre i francesi dovettero soltanto perfezionare le loro ambulanze volanti, l’Inghilterra per sviluppare un valido sistema di soccorso, si avvalse della collaborazione della celebre prima infermiera propriamente detta della storia moderna: Florence Nightingale (1823-1910), la quale per quanto riguardava la cura dei feriti, ebbe il merito di avere intuito che “un trasporto soddisfacente degli ammalati e dei feriti, fosse il primo requisito per salvare loro la vita“.

La Nightingale, venne ricordata come “la Signora della lampada“, per via di un articolo che comparve sulla rivista Times, nel quale si lodava la sua attività, il suo coraggio, la sua abnegazione per il difficile lavoro che compiva. Fu la prima a utilizzare la statistica ed anche durante la guerra di secessione americana (1861-1865), fu consultata dal governo di Washington, sviluppando vari progetti per la costruzione di carri per il trasporto dei feriti, specialmente per l’esercito nordista, per il quale il Dottor Jonathan Letterman, era stato nominato a capo dell’organizzazione dei soccorsi. Quest’ultimo, istituì ospedali da campo mobili da dislocare presso la divisione e il quartier generale del corpo e pensò ad un efficiente collegamento mediante un corpo di ambulanze, con un efficiente sistema per la distribuzione delle forniture medicali. Grazie a queste nuove ambulanze per il trasporto di feriti dal campo di battaglia, dimostrò in maniera lampante, l’efficacia della sua rapida risposta rapida alla salvezza di centinaia di soldati. Finita la guerra di secessione negli Stati Uniti, si organizzarono quindi, sistemi di soccorso in ambito civile e a Cincinnati nello stato dell’Ohio, per esempio nel 1865, era già attivo un valido servizio di ambulanze.

E tornando in casa nostra, giungiamo anche noi in età moderna, risorgimentale, a Italia unita e libera finalmente, non senza poco sacrificio con sanguinose guerre non solo con lo straniero invasore, ma addirittura fratricide, come nel Mezzogiorno con la “Questione Meridionale”. Il nuovo Stato unitario, nel 1888 si farà costruttivo promotore della Direzione Generale della Sanità Pubblica, presso il Ministero dell’Interno, attiva fino al 1945. Un paio d’anni dopo, nel 1890, è la volta della “Legge Crispi”, che istituisce gli Istituti di Pubblica Assistenza e Beneficienza, stabilendo la differenza tra gli ospedali veri e propri e gli enti di assistenza di altro tipo (orfanotrofi, ospizi,…). Accanto a grandi ed importanti istituzioni religiose, ancora oggi in funzione, ad opera specialmente in Piemonte, dei cosiddetti “Santi Sociali”, come San Giuseppe Benedetto Cottolengo con la Piccola Casa della Divina Provvidenza o San Giovanni Bosco con la Congregazione Salesiana, si ergono filantropiche realtà come l’Opera Pia “Barolo”, fondata dalla Marchesa Giulia di Barolo, appunto.

E sempre in clima risorgimentale, sui campi di battaglia di Solferino e San Martino, nel giugno del 1859, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, nasce l’idea di quella che sarà la “Croce Rossa” (nello sconvolto animo dagli orrori delle sanguinose battaglie), di un imprenditore ginevrino, Henri Dunant, il quale in Italia era appunto giunto, per incontrare, per suoi affari, Napoleone III°, che stava giusto conducendo il conflitto, accanto all’alleato piemontese Re Vittorio Emanuele II°, contro l’Austria dell’Imperatore Francesco Giuseppe. Dai servizi del tutto deficitari della Sanità Militare a seguito di tali eserciti, che provocheranno innumerevoli morti che sarebbero state molto probabilmente evitate con soccorsi e cure maggiori, Dunant qualche anno dopo, ispirato dall’esempio di quei pochi tenaci e coraggiosi medici militari, da qualche sacerdote e soprattutto dalle pietose donne del posto, scriverà il libro “Un Souvenir de Solferino”, ove appunto descriverà gli orrori della guerra e promuoverà la creazione di società di soccorso a beneficio dei feriti e malati in tempo di guerra sui campi di battaglia, da impiegarsi quale ausilio dei singoli Corpi di Sanità Militare e seguito delle truppe combattenti. La “Croce Rossa” con il tempo, conoscerà non solo necessità di tipo militare, ma anche nell’ambito del tempo di pace, lo spontaneo bisogno di assistere vittime e senzatetto in calamità naturali ed in disastri, così come nello spicciolo soccorso ed assistenza, nella quotidianità delle nostre strade.

Banco di prova della Croce Rossa nell’affacciarsi di un complesso e difficile scenario sul fil di lana dei critici rapporti tra potenze europee, che spesso sfociavano in conflitti cruenti e prolungati, fu nello stesso anno della prima Convenzione di Ginevra, il 1864, la guerra tra la Prussia con la Danimarca, la quale utilizzò le lettighe a ruote, indubbiamente più leggere e maneggevoli, in grado di essere manovrate anche da un solo soccorritore. Si trattava di una normale barella, sulla quale veniva adagiato il ferito e che, posizionata su una struttura a ruote, veniva trainata da un uomo o da un cavallo. La maggior parte delle lettighe aveva 2 ruote su un unico asse con la barella, che poteva scivolare sulla struttura portante ed essere assicurata. Un esempio poteva essere una barella a 2 ruote trainata da uno o due barellieri, per il trasporto di malati, utilizzata per lo più a Lisbona alla fine del XIX secolo. Altri modelli avevano 2 ruote più piccole poste centralmente, una davanti e l’altra dietro lungo l’asse centrale, per prevenire il ribaltamento della lettiga. In ambito militare però, si continuò ad usare i grandi carri, riservando le lettighe con una barella in ambito civile.

In Italia durante la Terza Guerra d’indipendenza (1866), si cominciarono a diffondere i carri-ambulanza, grazie alla progettazione del medico milanese Agostino Bertani e agli allestimenti del carrozziere torinese Alessandro Locati. La sua ambulanza all’epoca veniva così definita: “E’ un veicolo montato su 4 ruote e 7 molle. Riesce ad essere utilizzabile su qualsiasi strada e ha una notevole capienza perché può portare 5 feriti distesi su appositi lettini e altri 3 seduti davanti”. Questa ambulanza riscosse un grande successo alla mostra di Philadelphia e all’Esposizione Universale di Parigi del 1867.

Prima di concludere il XIX secolo, non si può non trattare alcuni grandi personaggi storici che direttamente o indirettamente hanno influenzato e segnato il cammino del progresso sanitario a sostegno e sollievo dell’umanità sofferente. Tra questi il chirurgo  Nikolay Iva-novich Pirogov, proveniente dalla Russia imperiale, considerato uno dei fondatori della moderna medicina militare, in particolare della chirurgia (anche inventore ed imbalsamatore), in quanto fu il primo ad utilizzare l’etere come anestetico in un’operazione chirurgica sui campi di battaglia. Inoltre, inventò diversi tipi di interventi chirurgici e sviluppò una propria tecnica per utilizzare il gesso per il trattamento delle fratture delle ossa. Egli, fu anche uno dei più noti medici nella storia della medicina russa, a buon diritto ritenuto il primo ad istituire un servizio di soccorso ed assistenza simile a quello proposto dalla già citata inglese prima infermiera Florence Nightingale.

Come italiani, e ciò meriterebbe un vero e proprio capitolo a parte, la figura di Nikolay Ivanovich Pirogov, è legata alla nostra Nazione, in quanto fu chiamato anche al capezzale di Giuseppe Garibaldi, quando fu ferito in Aspromonte nell’estate del 1862. Al fuoco dei bersaglieri, i quali avevano avuto l’ingrato ordine di fermare lui e le sue truppe ad ogni costo, egli venne colpito alla gamba. A sparare fu il luogotenente Luigi Ferrari, a capo di uno dei 6 battaglioni di bersaglieri inviati a braccarlo e per amara ironia del destino, rimasto ferito anche lui, subendo l’amputazione di un piede. Altra ipotesi, fu che non fosse stato lui personalmente a sparare, ma uno dei suoi bersaglieri dei battaglione di cui era a capo. In ogni caso chi sparò a Garibaldi, lo fece per obbedire ad un ordine, ma non ci fu la volontà di ucciderlo, in quanto lo sparatore abbassò la canna della carabina, mirando verso il basso e cioè verso le gambe. Per questa operazione Luigi Ferrari ottenne la medaglia d’oro con la motivazione: “Adempì all’amaro compito di fermare comunque il generale Garibaldi in marcia verso Roma. Aspromonte 1862”. Garibaldi fu subito soccorso da tre medici garibaldini (Pietro Ripari, Giuseppe Basile e Enrico Albanese), i quali erano aggregati ai suoi uomini. Rimanendo per un pò di tempo a riposare all’ombra di un pino, divenuto poi celebre e ricordato come il ”cippo di Garibaldi”, tra le montagne impervie dell’Aspromonte, nei pressi di Gambarie, fu messo inevitabilmente e non senza imbarazzo da parte del Governo di Torino, agli arresti pur essendo ferito, trattato però con tutti i riguardi, adagiato su una barella di fortuna, con l’obiettivo di imbarcarlo prima a Scilla e poi per La Spezia, con la nave “Duca di Genova”, detenuto alla prigione militare di Varignano, dove venne alloggiato in un’ala della palazzina del Comandante. La ferita fin dall’inizio cominciò a mostrare vistosi segni di infiammazione, con dolore, febbre e tumefazione del piede. Il dottor Albanese praticò un taglio sul piede alla ricerca del proiettile, ma i colleghi Pietro Lipari e Giuseppe Basile, consigliarono di non insistere nella ricerca del proiettile con un taglio più profondo, per evitare altre sofferenze all’infermo. Essi erano convinti che il proiettile fosse rimbalzato fuori dalla ferita ed a quel punto, furono chiamati a consulto i più illustri medici italiani e stranieri. Primi a giungere, furono i dottori Timoteo Riboli di Parma e Giuseppe Di Negro da Genova. Poco dopo giunse il dottor Giovan Battista Prandina da Chiavari, che era stato chiamato a consulto dal figlio Menotti. Successivamente giunsero i professori Luigi Porta da Torino, inviato dal Ministro Rattazzi e Francesco Rizzoli da Bologna. Altri celebri medici dell’epoca, furono chiamati al capezzale dell’illustre infermo da tutto il mondo, dalla Russia, dalla Francia e dall’Inghilterra, nonché dalla Russia, tornando a parlare di Nikolay Pirogov da Pietroburgo, il quale era conosciuto come uno dei più grandi chirurghi esistenti. L’8 novembre per sottrarlo al clima rigido e umido di La Spezia, il Generale fu trasferito a Pisa. Al contrario di quanto asseriva il Prof. Luigi Porta, incontriamo un altro illustre e celebre personaggio, il Prof Ferdinando Palasciano, Direttore della clinica chirurgica di Napoli, legato indirettamente alla nascita della “Croce Rossa”, quale suo prestigioso ed illuminato “precursore”, avendo praticato nei moti del 1848 la cura dei suoi commilitoni e dei nemici rivoltosi, proclamando successivamente in un Convegno del 1861, il principio della “neutralità” dei combattenti feriti, poi recepito nel 1864 dalla Convenzione di Ginevra, la quale istituzionalizzò appunto, il simbolo della Croce Rossa. Ritornando alla ferita alla gamba di Garibaldi, quest’ultimo, si convinse giustamente della presenza di una pallottola nel piede e consigliò di intervenire al più presto per estrarne il proiettile. Per l’occasione fu chiesta anche la consulenza del chirurgo francese Auguste Nélaton, che giunse da Parigi per visitare Garibaldi e confermò l’ipotesi del “proiettile ritenuto”. Ma costretto a rientrare con urgenza in Francia, lo stesso Nélaton, inviò ai colleghi italiani 2 sondini di sua invenzione, che terminavano con una piccola sfera di porcellana e che venivano usati per individuare i proiettili nelle ferite. Introdotto il sondino nella ferita, la pallina di porcellana del sondino, a contatto con il piombo del proiettile si annerì, confermando così la presenza di una pallottola. In sintesi con questa tecnica, fu provata l’esistenza della “pallottola ritenuta” e il 22 novembre del 1862 il Prof Ferdinando Zannetti (1801-1891), direttore della clinica chirurgica di Firenze, praticò nel piede di Garibaldi, ormai in gravi condizioni, un’incisione profonda 4 centimetri ed estrasse una pallottola del peso di 22 grammi. La presenza del proiettile, che alcuni chirurghi tra cui Palasciano, Albanese ed altri avevano giustamente da sempre sospettato, era stata finalmente dimostrata a poco più di 4 cm di profondità dal foro di entrata. L’amputazione del piede, fu finalmente scongiurata. Dopo l’estrazione del proiettile il miglioramento clinico di Garibaldi fu assai lento, ma continuo e soltanto il 20 Dicembre, accompagnato dai dottori Basi-le e Albanese, fu ricondotto alla sua Caprera. Si arriva quindi al 13 maggio quando il dottor Albanese, rilevando che non fuoriusciva più pus ed il tramite si era ridotto ad un centimetro di profondità, cauterizzò la ferita. Tale procedimento, venne ripetuto tutti i giorni per un’altra settimana fino a giugno, continuando con le medicazioni della ferita, per fortuna rimarginandosi lentamente. L’11 agosto 1863, quasi un anno dopo il ferimento, Albanese riferì che Garibaldi per la prima volta, aveva fatto una breve passeggiata a cavallo e il 21 agosto, a Caprera finalmente fu festeggiata la sua guarigione. In sintesi ci vollero quasi 30 operatori sanitari tra medici, fisici, chimici ed un anno di tempo, perché Garibaldi guarisse e tornasse a camminare. Non vi sono notizie certe se ottenne o meno una completa “restitutio ad integrum” dell’arto, ma è presumibile che Garibaldi, non fosse più molto sofferente.

Aprendo la nostra visione oltreconfine, alla Croce Rossa, seguì specialmente nel Nord d’Europa, la St. John Ambulance, fondata sugli stessi principi dei primi Cavalieri Ospitalieri dell’Ordine di San Giovanni in Terrasanta, i Giovanniti movimenti soccorso appunto, che si dedicarono al soccorso ed all’insegnamento delle principali tecniche a riguardo della popolazione. Sempre a fine secolo, verso il 1882, nacque la St. Andrews Ambulance Association, la quale che operava in Scozia, onde sopperire al numero crescente di persone ferite in incidenti stradali o sul lavoro, che non potevano accedere al primo soccorso. Sulla scia di ciò nel 1887, nacque la St. John Ambulance Brigade; il nome del marchio e il logo erano di proprietà del Venerabile Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme con un Ufficio internazionale a Londra. Questa associazione divenne ben presto, un pilastro per il soccorso extra-ospedaliero del Regno Unito e in tutti i paesi del Commonwealth britannico.

Quando nel 1881 a Vienna prese fuoco il teatro “Ringt-heater”, causando centinaia di morti e feriti, l’episodio mise in luce la precarietà del pronto soccorso sanitario austriaco. In seguito a questo incidente e sotto la forte pressione del Barone di Mundy, nacque l’Associazione Volontaria di Soccorso di Vienna. Sempre nell’Impero Asburgico di allora, anche a Trieste si constatò la totale assenza di un servizio di pronto soccorso sanitario. Il primo servizio medico in tal senso, fu iniziato nel 1883 per merito del dott. Davide D’Osmo, promotore del Servizio Medico Notturno Permanente, che nel 1886 si trasformò nella più importante Poliambulanza, in seguito all’ultima epidemia di colera della città. La Poliambulanza era in sintesi un’iniziativa privata di un gruppo di medici volontari, i quali garantivano una prima assistenza e il trasporto all’ ospedale di feriti e ammalati con speciali carrozze. Nel 1888 la Poliambulanza, fu dotata di telefono e divenne Guardia Medica.

Dall’impero asburgico a quello prussiano, in quegli anni, in Germania, il chirurgo Johannes Friedrich August von Esmarch (1823–1908) di Kiel, fondò l’Associazione dei Samaritani.

Ritornando nel Regno Unito, nel 1889 H.L. Bischoffsheim fondò a Londra l’Hospital Association Street Ambulance Service. Dalle Stazioni di Polizia, i Policemen di servizio, provvedevano al soccorso per tutta la città con 62 nuove lettighe a ruote. Queste lettighe, progettate dallo stesso Bischoffsheim, prevedevano la posizione semi-seduta del trasportato.

E dal mondo anglosassone a quello americano degli Stati Uniti, incontriamo sempre nel corso della seconda metà del XIX° secolo, la generosa figura di Clara Barton, che si prodigò nel soccorso dei feriti durante la Guerra civile americana, promuovendo la fondazione dell’American Red Cross, la Croce Rossa Americana.

Come nel resto d’Europa, in Italia, la seconda metà dell’800 vide il fiorire di numerose associazioni di volontariato, sia laiche che religiose, nate dal desiderio popolare di assicurare un soccorso garantito in ambito civile. Nacquero Enti come la Croce Bianca, la Croce Verde e numerose altre associazioni sostenute dalle elargizioni dei cittadini e successivamente divennero, assieme alle Misericordie, un insostituibile pilastro del soccorso extra-ospedaliero italiano. Anche se spesso in concorrenza tra loro, con matrici culturali diverse (mazziniane, socialiste, ecc.), in considerazione degli obiettivi che avevano in comune, per queste associazioni, nacque la necessità di riunirsi al I° Congresso Nazionale, tenutosi a La Spezia nel 1892, partecipando con ben 50 sodalizi. Sono per lo più, Associazioni di volontariato, libere e laiche, che hanno una grande molteplicità di nomi: Croce Verde, Croce Bianca, Croce D’Oro, Società di Salvamento, Fratellanza Militare, Fratellanza Popolare. Il loro campo di attività era non solo il trasporto di malati e di feriti, ma fornivano anche servizi di tipo ambulatoriale, provvedevano al trasporto dei defunti, organizzavano gruppi di pompieri volontari. Con il nuovo secolo sorse la necessità di darsi una struttura organizzativa più stabile. Nel 1903 nacque l’Unione Regionale Toscana e nel 1904 a Spoleto nacque la Federazione Nazionale delle Pubbliche Assistenze, che nel 1911 fu riconosciuta dallo Stato Italiano come Ente Morale. Durante la prima guerra mondiale le Associazioni aderenti alla Federazione erano salite a 150, ma con l’attività bellica, la crescita segnò una battuta d’arresto. Alla fine della guerra il numero delle Associazioni tornò a crescere e al Congresso di Fiume del 1924 le Associazioni federate erano 218. Con l’avvento del regime fascista si perseguì una politica, volta a portare tutte le attività comprese quelle del volontariato sotto il diretto controllo del regime. Fu appunto il fascismo a bloccare la crescita del movimento con il Regio Decreto n. 84 del 12 febbraio 1930. Vittorio Emanuele III°, sciolse infatti tutte le associazioni prive di riconoscimento giuridico e trasferì le competenze relative al soccorso alla Croce Rossa Italiana. Con la caduta del Fascismo, le Pubbliche Assistenze ripresero la loro attività e al Congresso di Milano del 1946 al movimento parteciparono 64 associazioni. Oggi, l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (ANPAS), rappresenta un’organizzazione di volontariato senza fini di lucro, diffusa su tutto il territorio italiano ed ha lo scopo di servire chiunque esprima un bisogno, senza porre condizioni all’aiuto prestato e dimostrandosi aperte a chiunque voglia prendervi parte, con un adesione allo stato attuale, di ben 867 associazioni.

Ritornando al discorso dei carri ambulanza prevalse la tendenza di progettare carri più leggeri, per il trasporto di un solo infortunato in barella. Spesso lo spazio all’interno del mezzo consentiva la presenza, accanto all’infortunato, di un solo soccorritore, ma l’obiettivo prevalente era quello di raggiungere più velocemente possibile l’ospedale, dove le possibilità assistenziali erano maggiori. In alcune città si adottarono allestimenti di barelle su biciclette o tandem per formare le ciclo-lettighe, che si diffusero e rimasero in uso fin dopo la seconda guerra mondiale. Queste ambulanze avevano strutture e progettazioni diverse, per consentire un utilizzo adatto a seconda delle zone d’intervento. In alcune grandi città europee ed extraeuropee, si realizzarono addirittura allestimenti di barelle sui tram.

Risale al 1920 la prima autoambulanza a motore della O.M., (le Officine Meccaniche, vale a dire l’azienda italiana specializzata nella produzione di veicoli, particolarmente di autocarri). In origine, come è stato detto, il termine “ambulanza”, stava ad indicare una formazione militare, composta da personale sanitario, che costituiva solitamente un ospedale da campo al seguito dell’esercito di appartenenza. Ma poi via, via indicò sempre più specificatamente il tradizionale veicolo di soccorso e trasporto infermi.

Con l’avvento del nuovo secolo, il XX°, anche l’architettura, conosce una sua rilevante importanza in ambito ospedaliero. Nascono in versione più avanzata e avveduta, diversi complessi ospedalieri, ancor oggi funzionali per le esigenze di oggi. L’Ospedale Mauriziano del 1883, sorto “a padiglioni”, (così come più tardi l’Ospedale “delle Molinette” a metà anni 30 del ‘900), soppianterà definitivamente il concetto di derivazione conventuale, con grandi spazi comuni, collegati da grandi gallerie. Prende piede l’importanza di “isolare” reparti di infettivi, da tutto il resto ad esempio.

Ad interrompere la “Belle epoque” ed un lungo periodo di pace, giunge la Prima Guerra Mondiale: il 24 maggio del 1915 l’Italia entra in quella che viene considerata anche la Quarta Guerra d’Indipendenza. A quell’ epoca, la struttura sanitaria dell’Esercito Italiano, disponeva di 24.000 posti letto al fronte e di più di 100.000 posti letto dislocati nelle retrovie e nel resto del Paese, un migliaio di medici, in gran parte in servizio effettivo; ciononostante questa formazione si rivelò insufficiente alle necessità, tanto da richiedere, con urgenza, ulteriori risorse economiche e organizzative per il potenziamento, soprattutto riguardo al trasporto dei feriti e dei malati verso le retrovie. Fu creata per questo un’imponente rete di ospedali e di convalescenziari, utilizzando le strutture sanitarie civili ed inoltre mediante la loro requisizione, furono utilizzate caserme, scuole, collegi, alberghi, seminari, etc. Già nell’ottocento, la Croce Rossa Italiana, cominciò ad allestire, come avveniva per i treni ospedale, anche i natanti da utilizzare nelle attività di soccorso ed assistenza alle popolazioni colpite da calamità. In pratica gran parte del materiale utilizzabile per l’allestimento dei treni ospedale fu adoprato per l’allestimento delle ambulanze fluviali, come la “Alfonso Litta”, di stanza sul fiume Po. Scoppiata la prima guerra mondiale, tutte le imbarcazioni passarono alla Sanità Militare. La Croce Rossa Italiana militarizzò immediatamente il suo personale, forte di 9.500 infermieri e 1.200 medici, con 209 apparati logistici propri tra Ospedali Territoriali, attendamenti, autoambulanze e treni ospedali. Nel 1916 i medici militari in zona di Guerra erano 8.000 (più altri 6.000 che operavano in retrovia) e nel 1918 diventarono complessivamente 18.000. Alla fine della guerra, al fronte c’erano 96 sezioni di Sanità Militare, 234 ospedali da 50 letti, 167 da 100 letti, 46 da 200 letti, 9 ambulanze chirurgiche e 17 radiologiche, 38 sezioni di disinfezione; nel paese, in totale, i posti letto erano quasi quintuplicati rispetto a prima della guerra, avvicinandosi a circa 500.000. Le ambulanze chirurgiche svolsero un ruolo fondamentale, in quanto erano veri e propri reparti di chirurgia “volante”, che seguivano la linea del fronte ed erano di-rette assai spesso da esperti chirurghi e dai loro assistenti .Tra questi chirurghi deve essere ricordato Bartolo Nigrisoli, di Ravenna (1858-1948), il quale per la forte esperienza accumulata con l’ambulanza chirurgica, prima sui campi di battaglia durante la guerra italo-turca in Montenegro e poi, durante la Prima Guerra Mondiale nel 1919, fu chiamato alla cattedra di Clinica Chirurgica Generale, presso la Facoltà di Medicina dell’ Università di Bologna.

Con il “Fascismo” e la sua concezione di dividere e settorializzare la popolazione e quindi anche i bisognosi di assistenza in specifiche categorie e settori, vengono introdotte specifiche assistenze riservate ai tubercolotici, ciechi, sordomuti, invalidi civili, di guerra o anche a sostegno della maternità ed infanzia, come l’omonima Opera nazionale, istituita nel 1925. Due anni dopo viene istituito il Consorzio tubercolare con una rete di sanatori e l’assicurazione antitubercolare per i lavoratori dipendenti ed ancora nel 1937, vengono soppresse le Congregazioni di Carità, sostituite con Enti comunali di assistenza.

E scoppia anche la Seconda Guerra Mondiale, che vide un rapido sviluppo dell’industria automobilistica e di conseguenza anche delle ambulanze, le quali divennero così motorizzate. Le parti in guerra, diedero un grosso impulso al trattamento precoce dei feriti. La Croce Rossa, impose la sua autorità nel campo del Diritto Internazionale Umanitario, con il trattamento anche dei prigionieri di guerra e al termine del conflitto, si occupò, fin dalla “Ricostruzione”, del soccorso in ambito civile, con la graduale comparsa di Volontari di estrazione popolare, accanto al personale del Corpo Militare e delle Infermiere Volontarie, nonché le Dame Patronesse, di più nobile tradizionale retaggio.

E non trascurabile, fu anche il contributo della C.R.I., per il miglioramento dei sistemi di segnalazione delle autoambulanze, che nell’immaginario collettivo e nel linguaggio parlato, vennero sempre più chiamate letteralmente come “Croce Rossa” (es. “… arriva la Croce Rossa…”, “l’hanno portato via con la Croce Rossa…”). Sempre a riguardo delle autoambulanze, negli Stati Uniti, erano diffuse le sirene per segnalarne il passaggio, e ben presto, si diffonderanno anche in Europa e quindi in Italia, laddove i mezzi, venivano segnalati semplicemente con la “Croce” che si illuminava sul tetto della vettura. Dal 1959, sempre in Italia è iniziato a comparire per Legge, l’inconfondibile e celebre lampeggiante blu, ancor oggi in uso. In quegli anni le ambulanze venivano costruite su telai di automobili, per cui le dimensioni erano ridotte e lo spazio interno, semplice ed essenziale, consentiva solo ad un soccorritore di sedere accanto all’infermo: comunque la filosofia era sempre la stessa, raggiungere prima possibile l’ospedale a gran velocità, anche affrontando viaggi per lunghi trasferimenti. Sono gli anni ’60 e rifacendosi alla produzione dei veicoli a motore di quell’epoca, i furgoni costituivano la base per la maggioranza delle ambulanze. In particolare il FIAT 1100 T era forse il veicolo più diffuso, mentre l’Alfa Romeo con il noto “ROMEO”, era molto utilizzato dall’Esercito Italiano e dagli Enti Pubblici in genere. La fabbrica automobilistica FIAT, produsse nel 1967 il Fiat 238 che era un furgone di piccole dimensioni e che venne utilizzato come ambulanza con buoni risultati fino al 1983. Entrano in commercio altri modelli come quelli prodotti dalla casa tedesca Volkswagen (il Transporter e la T6) o come il F12 prodotto dalla casa automobilistica Alfa Romeo. Oggi, in ogni ambulanza sono presenti: una sirena bitonale e una sirena fischio, un faro esterno manovrabile dall’interno che consente la visibilità nella zona circostante, un telefono cellulare e naturalmente una radio, che permettono di mantenere i contatti con la Centrale Operativa 118 o 112 che sia.

Ed arriviamo sempre in tempi recenti, con il Consiglio Nazionale di Ricerca dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, il quale nel 1966, pubblicò un rapporto sulle morti evitabili, causate dalla carenza di strutture extra-ospedaliere e dei dipartimenti d’urgenza. Il governo federale ne prese atto e diede incarico al Dipartimento dei Trasporti di riordinare il soccorso sul territorio. Già nel 1968 venne istituito il numero 911, come numero unico per le chiamate d’emergenza. I vigili del fuoco divennero parte integrante dei sistemi di soccorso unendo così molto spesso le peculiarità tecniche a quelle sanitarie. La normativa conosciuta come KKK (1974) riordinò tutte le ambulanze degli USA, che vennero suddivise in 3 tipi, a seconda della struttura di costruzione. La Star of Life fu utilizzata quale simbolo degli EMS (Emergency Medical Service) e più tardi divenne simbolo internazionale dell’emergenza. I mezzi diventarono negli anni sempre più dei centri mobili di rianimazione, mentre si iniziavano a praticare sul posto manovre di stabilizzazione e terapia precoce.

E da noi, con l’avvento della Repubblica Italiana, che segue i primissimi tormentati giorni dopo una devastante guerra e l’inizio della “ricostruzione”, con la nuova “Carta Costituzionale” del 1948, all’articolo 32, si legge: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di Legge. La Legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Un decennio dopo, nel 1958, viene istituito il Ministero della Sanità, scorporando l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Salute Pubblica dal Ministero dell’Interno ed ancora, dieci anni dopo, nel 1968 con la “Legge Mariotti” dal nome dell’allora Ministro della Sanità, fu riformato il sistema degli ospedali, non più gestiti da Enti di assistenza e beneficienza, ma trasformati in Enti pubblici ospedalieri, disciplinati per organizzazione, classificazione per categorie e funzioni, anche ai fini dell’erogazione di finanziamenti. Giusto ancora dieci anni dopo, nel 1978, viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale, reso effettivo nel 1980 e vengono così abolite le celebri “Mutue”, sparendo le varie categorie di assistiti ad esse collegate. Il concetto di salute da bene universale e gratuito, diventa un bene necessario per l’equità verso i poveri. La figura del medico condotto, viene sostituito da quella del medico di base.

Dispositivo KED

Nel 1981 Rick Kendrick, volontario californiano, ideò Il dispositivo di estricazione, noto con il termine inglese Kendrick Extrication Device e la relativa abbreviazione (KED); esso è un dispositivo di primo soccorso che viene impiegato per l’ estrazione di un traumatizzato da un veicolo. Il KED viene sempre utilizzato dopo l’applicazione del collare cervicale per mantenere l’immobilizzazione e l’asse testa-collo-tronco. Tale accorgi-mento permette di ridurre i rischi di danni secondari alla colonna vertebrale durante l’estrazione del corpo dal veicolo. Il KED avvolge la testa, il collo e il tronco in una posizione semirigida, consentendo l’immobilizzazione della spina dorsale.

In tempi, si potrebbe definire contemporanei, nel 2001 con la riforma del Titolo V° della Costituzione, è prevista la delega alle singole Regioni dell’organizzazione dei servizi sanitari, con particolare rilievo anche da parte degli ospedali privati e non solo pubblici. Nel successivo 2002, con la Legge sulle “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, viene permessa la privatizzazione del patrimonio immobiliare degli Enti Pubblici, compresi i beni immobili delle A.S.L. (Aziende Sanitarie Locali) e delle Aziende Ospedaliere.

Servizio emergenza 118

Merita particolare spazio, al termine di questa trattazione sul percorso evolutivo del soccorso ed assistenza sanitaria, la storia del Servizio d’Emergenza “118”. Il primo nucleo 118 è nato a Bologna, il 1º giugno 1990 in occasione del campionato mondiale di calcio. Contemporaneamente il 118 fu attivato a Udine e in tutta la sua Provincia. Le prime Regioni ad attivare il servizio sono state il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia-Romagna. Sulla base delle innovazioni introdotte a Bologna, con Decreto del Presidente della Repubblica del 1992, furono costituite le Centrali Operative 118 anche in altre città. Il numero svolge il compito di unico referente nazionale per le emergenze sanitarie di ogni tipo. La gestione e l’organizzazione del servizio, possono essere di competenza regionale, provinciale oppure deputati alle singole Aziende Sanitarie Locali. Il 118 è un numero unico nazionale, attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, gratuito su tutto il territorio nazionale sia da telefoni fissi che mobili. In Lombardia dal 2012 è attivo il  numero unico di emergenza 112 (NUE), un solo numero telefonico che fa confluire tutte le telefonate effettuate ai numeri di emergenza 112, 113, 115 e 118. Il compito istituzionale del NUE, definito “centralino laico” perché si avvale del lavoro di operatori non specializzati, è quello di identificare il chiamante e la località per la quale si richiede l’intervento d’emergenza e inoltrare la richiesta alla centrale operativa di secondo livello competente cioè Emergenza Sanitaria, Carabinieri, Polizia e Vigili del Fuoco.

Tecniche di soccorso

Negli ultimi cento anni siamo passati dal carro lettiga a sistemi con innovazioni radicali, sia nelle tecniche di primo soccorso (massaggio cardiaco), sia nell’utilizzo della tecnologia e della comunicazione. Oggi il pronto intervento si avvale anche degli elicotteri; il primo elisoccorso è stato introdotto dall’esercito americano durante la guerra in Vietnam, mentre attualmente sono ampiamente diffusi, al punto che solo nella regione Lazio in un anno con l’ eliambulanza, vengono effettuati circa 2.300 interventi. Siamo e saremo sempre più abituati a vedere i Defibrillatori Esterni Automatici (DAE) nei luoghi pubblici, ma purtroppo essi non sono presenti in ogni luogo. Per questo motivo uno studente di design industriale presso la TU Delft University in Olanda, Alec Mormot, ha sviluppato in maniera davvero avveneristica, un drone con un defibrillatore che può raggiungere rapidamente il luogo dove deve essere utilizzato, costruito all’interno del drone, le cui eliche pieghevoli lo rendono maneggevole per avvicinarlo alla vittima, grazie anche ad una maniglia che facilita il trasporto dal luogo dell’atterraggio. Gli elettrodi scivolano fuori dal naso del drone e tutto è etichettato, in modo che chiunque può usarlo. L’altra componente interessante è che il drone ha una fotocamera, un microfono e un altoparlante, quindi un infermiere da lontano può aiutare a navigare il drone e quindi assicurarsi il corretto utilizzo del Defibrillatore Esterno Automatico. Con batterie più potenti questi droni potrebbero trasportare anche altre attrezzature che sono presenti in ambulanza. L’operatore sanitario da lontano può aiutare a navigare il drone e assicurare il corretto utilizzo del Defibrillatore Esterno. Questo sistema potrebbe salvare un gran numero di pazienti con arresto cardiaco. Come è noto solo l’8% dei pazienti con arresto cardiaco, riesce a sopravvivere e questo per la lentezza dei soccorsi immediati. La morte cerebrale sopravviene infatti dopo 4-6 minuti di inattività cardiaca. Il drone di Momont, seguito da una centrale operativa, potrebbe raggiungere il luogo dove necessita ,per essere utilizzato, in meno di 2 minuti.

Abbiamo così in conclusione visto, come nell’ultimo spazio di un secolo, abbiamo assistito a innovazioni radicali, sia per l’utilizzo delle tecniche di primo soccorso (massaggio cardiaco), che per l’utilizzo delle in- novazioni tecnologiche e della comunicazione. Da quanto detto, emerge che l’evoluzione del soccorso, è stato condizionato in particolare da 4 fattori:

  1. l’ evoluzione delle conoscenze medico-chirurgiche;
  2. lo sviluppo nel campo dell’organizzazione;
  3. lo sviluppo dei mezzi di comunicazione;
  4. le innovazioni tecnologiche delle attrezzature.

Ognuno di questi fattori nel tempo ha avuto uno sviluppo prevalente e ha condizionato gli altri fattori, ma è solo mediante il coinvolgimento di ognuno di essi, che è stato ottenuto e si continuerà ad ottenere, un sistema di pronto soccorso sempre più efficiente.

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